Non so come mai, ma negli ultimi tempi sto pensando spesso alla vicenda umana di Vincent Van Gogh (1853/1890), alla sua folle ostinazione verso l’arte, al grande talento incompreso quanto lirico, ad una vita spesa e vissuta sempre sull’orlo del baratro…
Van Gogh, forse il primo vero artista “moderno”, nel senso più “modernista” del termine, certamente uno dei padri della grande rivoluzione dell’arte del novecento, che lui per altro non ha toccato, nemmeno sfiorato.
Penso a Van Gogh chiedendomi: “qual’è il limite che separa i genio, così riconosciuto e rispettato, celebrato quanto difeso, dalla pazzia, così temuta, scansata!” Van Gogh per me è l’esempio più forte (ed atroce) di una vita spesa per l’arte, e di come l’arte diventa l’ossessiva partecipazione alla propria causa. I suoi dipinti, belli quanto ricchi di materia e colori, di pennellate che scavano sulla tela, raccontano i luoghi del suo abbandono, le tappe di una processione esistenziale, della sua passione in senso quasi religioso, forse la ricerca di quel Dio, lui figlio di un pastore protestante…
Penso a Van Gogh è mi accorgo di come oggi spesso manca, nell’arte contemporanea, proprio questa “necessità“, la voglia di esprimere qualcosa, anche dal basso, dalle zone più remote e segreto, dalla propria sacrosanta follia, insomma la mancanza di coraggio, quello di essere se stessi e di raccontarsi, senza false ipocrisie, senza costruirsi fastosi castelli, senza mentire…
Van Gogh, così estremo, ma anche così vero, così come Modigliani, Soutine, Pollock, per non parlare di Antonio Ligabue e Pietro Ghizzardi, autori che da anni studio con attenzione, nella loro tribolata esistenza spesa fino in fondo per seguire la propria causa, o più semplicemente nel dare alito alla necessità di un talento più forte di tutto, e di tutti…
occorre essere tutti un pò Van Gogh
R.B. 2013